Onorevoli Colleghi! - Il nostro Paese ha accumulato nel corso degli anni, e in particolare negli anni '90, un gravissimo ritardo nella realizzazione di opere e di interventi infrastrutturali e nel compimento di prestazioni pubbliche indispensabili per dare ai cittadini servizi di un livello degno di una nazione avanzata, per il mantenimento di una crescita economica adeguata e sostenibile, per la tutela dell'ambiente e per il miglioramento e il recupero del territorio, pervenuto in molti luoghi a un grave degrado proprio per mancanza di adeguata pianificazione e di infrastrutture indispensabili per una corretta antropizzazione.
      Tali carenze hanno anche contribuito a determinare un rallentamento nella crescita economica; esse infatti hanno imposto al sistema economico, e in particolare alle imprese di dimensioni minori, di operare in un contesto che spesso ne ostacola l'attività o l'accesso al mercato, e comunque ne limita il livello di competitività, sia nelle parti più ricche del Paese, dove lo sviluppo ha raggiunto livelli incompatibili con la presenza di infrastrutture e di servizi obsoleti, sia, e soprattutto, dove questi mancano da troppo tempo, e così, in particolare, nel Mezzogiorno, dove il gap infrastrutturale con il resto dell'Europa è più acuto, e la mancanza di infrastrutture anche nei settori di importanza fondamentale, come l'approvvigionamento d'acqua, è un vincolo alla crescita ed è causa di profondi disagi per i cittadini.
      Il recupero di tale ritardo, mediante la realizzazione di infrastrutture e la prestazione di servizi di adeguato livello, costituisce uno dei compiti più importanti che la classe politica deve svolgere.
      In questo senso ci si è già mossi con l'approvazione della cosiddetta «legge obiettivo» (legge 21 dicembre 2001,

 

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n. 443), legge delega che ha già prodotto la disciplina delegata (in particolare il decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190), e apportando alla legge quadro sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109) modifiche miranti ad agevolare la realizzazione delle opere, con la legge 1o agosto 2002, n. 166.
      Nell'attuazione dell'attività legislativa, come in quella di Governo, si deve però rammentare che vi è una grande, difficilmente colmabile distanza tra i bisogni collettivi e l'idoneità della «mano pubblica» a farvi fronte con le entrate pubbliche, che trova anche uno specifico fondamento normativo nelle fonti comunitarie (addirittura di livello primario), soprattutto in relazione al contenuto del Trattato sull'Unione europea che ha seguito gli accordi di Maastricht. Questo in sé contiene elementi e princìpi che sotto il profilo economico-finanziario possono porsi tra loro in contrasto, dal momento che nel definire i «princìpi» fondamentali dell'Unione esso da un lato richiama gli Stati membri a «una crescita sostenibile, non inflazionistica» e dall'altro lato pone come direttiva comune dell'Unione e degli stessi Stati membri «il miglioramento del tenore e della qualità della vita» da realizzare attraverso vari interventi infrastrutturali. Esso pone, però, limiti tali che diviene anche difficile, in un momento economicamente complesso e non facile, come l'attuale, adottare politiche di spesa che possano promuovere la ripresa e lo sviluppo economici.
      È perciò importante che le opere, soprattutto infrastrutturali, e i servizi pubblici possano essere realizzati con investimenti (anche) dei privati, e in particolare dei soggetti dotati di grandi capacità economico-finanziarie (quali imprese, banche, assicurazioni, fondi di investimento, eccetera) e con minor aggravio del debito pubblico, nel rispetto di criteri e di princìpi di economicità. Così che gli investimenti pubblici fungano da catalizzatore e trovino nella combinazione con quelli privati sinergie che portino a un incremento di risultati e di efficienza più che proporzionali al rispettivo onere, pubblico e privato.
      In tale modo possono inoltre trarsi i principali vantaggi della partecipazione del privato all'investimento e alla gestione, consistenti nella maggiore attenzione al rapporto costi-benefìci, nel contenimento del rischio a carico dell'amministrazione, nella maggiore velocità di completamento del progetto, nell'apporto di conoscenze e di tecnologie specialistiche, nell'attuazione e nella qualità del servizio; vantaggi garantiti anche dalla sanzionabilità del gestore privato, rispetto al quale spesso può essere più stringente il controllo pubblico, grazie anche alla più forte distinzione tra ruolo politico, ruolo di controllo e ruolo gestionale.
      Come gli altri Paesi dell'Unione europea, dobbiamo quindi sviluppare le forme di partenariato pubblico-privato, traendo anzi insegnamento dalle esperienze degli altri e dai lavori che in relazione a queste hanno compiuto gli organismi europei (quali Eurostat). Ciò renderà possibile trarre i migliori frutti delle caratteristiche dell'economia italiana, che ha un surplus ormai strutturale di risorse (surplus di risparmio su investimenti) e però soffre di una cronica debolezza dei parametri investimenti, occupazione e tasso di sviluppo del reddito; così che il sistema, in quanto tale, gode di un rating relativamente elevato, e soffre semmai di incapacità di impiego.
      In tale quadro è particolarmente importante quindi che si sviluppino principalmente i moduli e i tipi di rapporto tra privati e pubblico, e le correlate procedure di affidamento di contratti, e soprattutto quelli riguardanti la procedura di finanza di progetto, che, nel contesto della programmazione dell'amministrazione, consente che privati assumano iniziative e formulino proposte, anche innovative, per la realizzazione di opere e per la prestazione di servizi in concessione.
      Come è noto, tale procedura è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge 18 novembre 1998, n. 415, che ha inserito nella legge 11 febbraio 1994, n. 109, gli articoli da 37-bis a 37-nonies.
 

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Essa poi è stata in parte modificata, proprio per aumentare la praticabilità e la diffusione della finanza di progetto, con la legge 1o agosto 2002, n. 166, che ha apportato una serie di innovazioni, quali l'introduzione della prelazione a favore del promotore, la revisione e la liberalizzazione delle condizioni di concessione (prezzo, durata, appalti del concessionario), la possibilità del partner finanziario di uscire dalla compagine della società di progetto in qualsiasi momento.
      I privati hanno manifestato interesse verso questo metodo di attivazione delle concessioni, ma ancora non si è pervenuti a un suo pieno successo.
      Come sovente accade nell'applicazione di norme, e soprattutto delle disposizioni che regolano i comportamenti dell'amministrazione, sono insorte difficoltà e sono stati sollevati dubbi in sede applicativa, in particolare dalle stesse amministrazioni e da giudici amministrativi, che rendono opportuno un intervento legislativo, soprattutto per chiarire che le norme sono di generale applicazione a tutte le ipotesi di realizzazione di opere o di servizi che possano comportare intervento finanziario dei privati e che esse costituiscono riferimento per le ipotesi di partenariato pubblico-privato, per semplificare e per rendere più agevole e ancora più rispondente alle direttive comunitarie la procedura di affidamento e rendere più certi i tempi e i rapporti economici, nonché per rendere più certi alcuni profili dei rapporti economici e delle relative garanzie.
      A tale fine è predisposto l'articolo 1 della proposta di legge.
      In particolare:

          il comma 1 chiarisce una questione già risolta positivamente dalla giurisprudenza, ma ancora oggetto di dubbi nell'interpretazione, stabilendo espressamente che gli articoli da 37-bis a 37-nonies della legge n. 109 del 1994 si applicano anche a casi quali l'affidamento di servizi che non comportino l'esecuzione di opere pubbliche o di attività di manutenzione relative a opere già realizzate; lo stesso comma chiarisce che le norme sulla finanza di progetto, per il loro prevalente interesse generale, prevalgono sulle normative di settore;

          il comma 2 esplicita che le stesse norme, ove compatibili, si applicano a tutte le ipotesi di partenariato pubblico- privato e al rapporto con i contraenti generali;

          il comma 3 chiarisce che gli interventi realizzati e prevalentemente finanziati dai privati sono esclusi dall'applicazione delle norme riguardanti i soggetti pubblici;

          il comma 4 regola l'avviso di gara e i relativi termini, specificando come va data evidenza alla prelazione del promotore, in conformità alle indicazioni della Commissione europea;

          i commi da 5 a 7 disciplinano la procedura e il comma 7 in particolare la prelazione;

          il comma 8 prevede il caso di mancato esercizio della prelazione;

          il comma 9 prevede che i crediti della società di progetto possano costituire garanzia in favore dei finanziatori dell'iniziativa.

      Come è noto, sono state adottate dall'Unione europea nuove direttive sugli affidamenti di lavori, di servizi e di forniture, nei settori normali e nei settori speciali.
      Fra le altre novità, vi è un significativo aumento delle cosiddette «soglie» di applicazione, lasciando così alla normativa del Paese membro la disciplina degli affidamenti sotto tali «soglie».
      Poiché gli operatori del settore, amministrazioni e imprese, hanno più volte lamentato l'eccessivo rigore della legge quadro sui lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, che spesso ha impedito di avviare le procedure o di risolvere importanti problemi contingenti, in linea con le nuove direttive e con i recenti interventi legislativi nel settore, che si sono ricordati, pare opportuno prevedere un proporzionale aumento delle soglie di applicazione di alcune disposizioni della medesima

 

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legge n. 109 del 1994, ovvero, in alcuni casi, rinviare all'ambito di applicazione delle normative europee.
      A tale fine è predisposto l'articolo 2 della proposta di legge.
      Si tratta in particolare delle norme relative alla programmazione dei lavori, alla progettazione, all'aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più rilevante, all'invito alle licitazioni, alla trattativa privata, alle varianti, alla pubblicità e ai lavori per i beni culturali.
      È prevista altresì la rivalutazione degli importi dei lavori secondo il tasso di inflazione reale, naturalmente con esclusione di quelli che si riferiscono alle soglie di applicazione della normativa europea.
      Le competenze della camera arbitrale per i lavori pubblici istituita presso l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sono state notevolmente ridimensionate dalla nota decisione della sezione IV del Consiglio di Stato n. 6535 del 17 ottobre 2003 e più recentemente dall'articolo 5 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
      Peraltro, il Trattato dell'Unione europea e le direttive sui «ricorsi» indicano come idoneo strumento per evitare il contenzioso l'istituzione di una camera di conciliazione.
      A ciò si accompagna la necessità di continuare ad avvalersi della camera arbitrale, i cui compiti sono trasferiti al nuovo organismo costituito dalla camera di conciliazione, composta da personale esperto e qualificato.
      A tale scopo è predisposto l'articolo 3 della proposta di legge.
      La camera arbitrale si trasforma quindi in camera di conciliazione per i lavori pubblici, pur mantenendo i compiti attribuiti dalla normativa vigente (commi 1 e  2).
      La camera di conciliazione, d'ufficio o su istanza di chi ha interesse, adotta, in contraddittorio con gli interessati, ogni soluzione appropriata per evitare o per risolvere il contenzioso, anche relativamente alle procedure di affidamento dei lavori (comma 3).
      In caso di irregolarità, la camera di conciliazione diffida i soggetti interessati e informa l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ai fini dell'adozione di misure cautelari o di sanzioni (commi 4 e 5).
      I provvedimenti della camera di conciliazione e dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sono impugnabili davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
      Da ultimo, per la notevole importanza delle norme che si presentano, nell'articolo 4 si prevede che esse costituiscono princìpi generali del diritto anche ai fini interpretativi della legislazione in vigore.
 

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